La Rosuvastatina più efficace dell’Atorvastatina nel ridurre i livelli di proteina C-reattiva e di colesterolo LDL nei pazienti con diabete mellito di tipo 2
Le lineeguida riguardanti la prevenzione della malattia coronarica raccomandano l’impiego delle statine nel raggiungimento dei livelli di colesterolo LDL inferiori a 100 mg/dl nei pazienti con diabete mellito di tipo 2.
La riduzione del colesterolo LDL sotto la soglia di 70 mg/dl offre ulteriori benefici.
Gli effetti delle statine nella prevenzione della coronaropatia non sono limitati alla riduzione dei livelli di colesterolo LDL, ma questi farmaci possono esercitare un’attività antinfiammatoria.
Studi hanno dimostrato che alti livelli plasmatici della proteina C-reattiva ( CRP ), un marker di infiammazione, sono associati alla malattia coronarica.
I pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 presentano aumentati livelli di proteina C-reattiva. La riduzione di CRP al di sotto di 2 mg/L, mediante terapia con statine, diminuisce il rischio di eventi coronarici nei pazienti con sindromi coronariche acute a prescindere dai livelli di colesterolo LDL.
Il raggiungimento dei livelli di colesterolo inferiori a 70 mg/dl, combinati con livelli inferiori a 2 mg/L di CRP, è correlato ad un miglioramento degli outcome ( esiti ) dopo infarto miocardico, e alla riduzione del rischio cardiovascolare nei pazienti ad alto rischio.
Ricercatori dell’University College London, in Gran Bretagna, hanno esaminato la capacità della Rosuvastatina ( Crestor ) e dell’Atorvastatina ( Lipitor; in Italia: Torvast ) di raggiungere il target di colesterolo LDL inferiore a 70 mg/dl e di CRP inferiore a 2 mg/L, nei pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2.
Lo studio ha riguardato 509 pazienti di età uguale o maggiore a 18 anni, partecipanti allo studio ANDROMEDA.
Il diabete di tipo 2 è stato definito come glicemia a digiuno maggiore o uguale a 125 mg/dl in 2 o più momenti ( oppure in un momento ed in presenza di sintomi di iperglicemia ).
Sono stati esclusi dallo studio i pazienti con diabete non controllato ( emoglobina glicata > 9% ), storia di malattia cardiovascolare, o ipercolesterolemia familiare.
I pazienti sono stati assegnati a ricevere il dosaggio iniziale di 10 mg/die di Rosuvastatina o di Atorvastatina.
Dopo 8 settimane di trattamento, tutti i dosaggi sono stati aumentati a 20 mg/die per ulteriori 8 settimane.
L’endpoint primario era rappresentato dalla percentuale di cambiamenti dei livelli di colesterolo LDL alla 16.a settimana.
Gli endpoint secondari comprendevano, invece, la percentuale di cambiamento dal basale del colesterolo LDL all’8.a settimana e di altri parametri lipidici e delle concentrazioni della proteina C-reattiva all’8.a e alla 16.a settimana.
Riduzioni statisticamente significative dei livelli di proteina C-reattiva dal basale all’8.a e alla 16.a settimana, sono state osservate sia con Rosuvastatina che con Atorvastatina.
Nei pazienti a rischio cardiovascolare medio-alto, le due statine hanno ridotto i valori di CRP rispetto al basale ( p
La Rosuvastatina ha ridotto i valori medi di colesterolo LDL in misura maggiore rispetto all’Atorvastatina, sia alla 8.a che alla 16.a settimana ( pLa Rosuvastatina ha anche prodotto una più marcata riduzione del colesterolo totale, del colesterolo non-HDL, dell’apolipoproteina B e dei rapporti tra i livelli plasmatici dei lipidi, rispetto all’Atorvastatina, sia all’8.a che alla 16.a settimana ( p
Non sono stati riscontrate significative differenze nei cambiamenti dei livelli di colesterolo HDL tra Rosuvastatina ed Atorvastatina, anche per i pazienti con alti livelli di trigliceridi, al basale.
Un numero maggiore di pazienti trattati con Rosuvastatina ha raggiunto l’endpoint combinato di CRP inferiore a 2 mg/L e di colesterolo LDL inferiore a 70 mg/dl, all’8.a e alla 16.a settimana, rispetto ad Atorvastatina ( pE’ stato osservato che nei pazienti con livelli basali di CRP maggiori o uguali a 2 mg/L , più pazienti trattati con Rosuvastatina hanno raggiunto l’endopoint combinato, rispetto ai pazienti trattati con Atorvastatina ( p
Betteridge J et al, Am J Cardiol 2007; 100: 1245-1248
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