Intervento coronarico percutaneo: i beta-bloccanti non migliorano gli esiti, possono aumentare il rischio di insufficienza cardiaca


Nonostante il crescente uso, i beta-bloccanti non appaiono migliorare i tassi di mortalità o di riduzione degli eventi cardiovascolari nei pazienti di età uguale o superiore ai 65 anni con angina stabile, ma senza storia di infarto miocardico o di scompenso cardiaco.

Tuttavia, i tassi di riammissione in ospedale a 3 anni per insufficienza cardiaca sono risultati più alti tra i pazienti assegnati ai beta-bloccanti rispetto a quelli non assegnati a questi farmaci.

Si è cercato di determinare se i beta-bloccanti abbiano un effetto sugli esiti nei pazienti con angina stabile dopo intervento coronarico percutaneo ( PCI ).

Sono stati valutati pazienti senza storia di infarto miocardico, senza scompenso cardiaco sistolico, e con frazione di eiezione ventricolare sinistra superiore al 40%, sottoposti a procedura PCI nel periodo 2005-2013 presso 1.443 siti del CathPCI Registry.

Sono stati presi in esame i dati di 755.215 pazienti; il 71.4% erano stati dimessi con la prescrizione di beta-bloccanti.

Gli endpoint erano la mortalità per qualsiasi causa, la rivascolarizzazione o l’ospedalizzazione per infarto miocardico, scompenso cardiaco o ictus a 30 giorni e a 3 anni.

Nel periodo considerato, la prescrizione di beta-bloccanti alla dimissione è aumentato nella coorte esaminata ( P inferiore a 0.001 ).

Non è stata trovata alcuna differenza nel tasso di mortalità aggiustato a 3 anni tra coloro che hanno fatto uso di beta-bloccanti e quelli che non li hanno assunti ( beta-bloccanti, 14%; nessun beta-bloccante, 13.3%; hazard ratio aggiustato, aHR = 1 ).

Simili risultati sono stati visti per l’infarto miocardico a 3 anni: beta-bloccanti, 4.2%; nessun beta-bloccanti, 3.9%; aHR = 1 ).

A 3 anni, non sono state riscontrate differenze significative tra i gruppi riguardo all’ictus ( beta-bloccanti, 2.3%; nessun beta-bloccante, 2%; aHR = 1.08 ) o alla rivascolarizzazione ( beta-bloccanti, 18.2%; nessun beta-bloccante, 17.8%; aHR = 0.97 ).

E’stato osservato che i beta-bloccanti nella popolazione presa in esame erano associati a rischio di riammissione ospedaliera per insufficienza cardiaca a 3 anni ( 8% vs 6.1%; aHR = 1.18 ). ( Xagena2016 )

Fonte: JACC Cardiovascular Interventions, 2016

Cardio2016 Farma2016


Indietro

Altri articoli

Nei pazienti con insufficienza cardiaca e frazione di eiezione ridotta ( HFrEF ), i disturbi respiratori del sonno, comprendenti l’apnea...


L’attività fisica è fondamentale nella gestione dell’insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta e la camminata integrata nella vita quotidiana...



Gli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 ( SGLT2 ) riducono il rischio di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca nei...


Non è noto se i benefici degli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 ( SGLT2 ) nell’insufficienza cardiaca persistano...


L'insufficienza cardiaca ( HF ) è una complicanza potenzialmente pericolosa per la vita del trattamento del tumore infantile. È stato valutato...


ET-1 ( endotelina-1 ) è implicato nella fisiopatologia dell'insufficienza cardiaca e della malattia renale. La sua importanza prognostica e la...


Gli inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio 2 ( SGLT2 ) sono emersi come trattamento fondamentale per i pazienti con insufficienza cardiaca...


La carenza di ferro, con o senza anemia, è un fattore prognostico sfavorevole nell’insufficienza cardiaca ( HF ). Nello studio...


Nello studio DELIVER ( Dapagliflozin Evaluation to Improve the Lives of Patients With Preserved Ejection Fraction Heart Failure ), Dapagliflozin...