Efficacia dei mesoangioblasti nella distrofia muscolare di Duchenne in un modello animale
Un gruppo di ricercatori del San Raffaele di Milano, in collaborazione con l’Università di Pavia e la Scuola Veterinaria francese di Maisons-Alfort, ha dimostrato l’efficacia di particolari cellule staminali, dette mesoangioblasti, nella cura della distrofia muscolare di Duchenne, malattia genetica degenerativa dei muscoli che dipende da difetti nel gene della distrofina.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature.
I mesoangioblasti, prelevati dai vasi sanguigni di cani sani, sono stati iniettati per via intra-arteriosa in cani Golden Retriever colpiti da distrofia muscolare di Duchenne e sottoposti ad un trattamento di immunosoppressione a base di Ciclosporina per evitare il rigetto delle cellule del donatore.
I cani trattati hanno ereditato il gene malato responsabile della distrofia muscolare di Duchenne dalla madre, esattamente come accade nei pazienti.
Dopo 5 iniezioni consecutive, i cani distrofici hanno mantenuto o migliorato la deambulazione e una discreta forza muscolare; inoltre, una percentuale delle loro fibre muscolari, variabile tra il 10 ed il 70%, ha prodotto la versione normale della distrofina.
Questo studio è il frutto di 15 anni di lavoro, finanziati in maniera prioritaria da Telethon, e di precedenti risultati incoraggianti ottenuti sui topi - ha sottolineato Giulio Cossu, direttore dell’ Istituto di Ricerca sulle Cellule Staminali del San Raffaele di Milano. Prima però di passare alla sperimentazione clinica abbiamo ripetuto la sperimentazione sui cani; questi animali hanno infatti tutti i segni della distrofia muscolare di Duchenne presenti nell’uomo e rappresentano quindi un modello migliore dei topi per verificare gli effetti di una terapia. I risultati pubblicati su Nature confermano che eravamo sulla strada giusta e ci permettono di iniziare a pianificare la sperimentazione sull’uomo. Ma è importante ricordare, che, anche se il cane malato di distrofia muscolare di Duchenne rappresenta il modello animale più vicino alla malattia umana, il passaggio alla sperimentazione clinica richiede tempi lunghi e molta cautela.
Questo importante lavoro è il frutto di precedenti studi sperimentali effettuati dagli stessi ricercatori sui topi. Uno studio del 1998 ha dimostrato che il midollo osseo dei topi contiene cellule capaci di formare nuove fibre muscolari in un muscolo rigenerato.
Tuttavia esperimenti di trapianto di midollo in topi distrofici hanno dimostrato che le cellule del midollo non sono di per sé sufficienti a sortire alcun beneficio clinico.
Più di recente i Ricercatori hanno osservato che cellule staminali associate ai vasi sanguigni, i mesoangioblasti, possono essere coltivate in vitro e possono differenziarsi in nuove fibre muscolari scheletriche. Nel 2003 queste osservazioni sono state sperimentate sui topi affetti da un’altra forma di distrofia muscolare, quella dei cingoli: quando iniettati per via sistemica, i mesoangioblasti normali hanno ripristinato struttura e funzione del muscolo distrofico. Inoltre, anche mesoangioblasti isolati da topi distrofici si sono dimostrati ugualmente capaci di migliorare la funzionalità dei muscoli malati, a condizione che prima dell’iniezione venisse introdotta nella cellula una copia sana del gene mutato.
La procedura di trapianto è stata successivamente ottimizzata, migliorando la capacità dei mesoangioblasti di colonizzare i muscoli malati.
La distrofia muscolare di Duchenne è una malattia genetica degenerativa a carico dei muscoli ed è la forma più grave perché la degenerazione dei muscoli colpisce anche quelli respiratori ed il cuore, specialmente negli ultimi anni di vita.
I primi sintomi si manifestano intorno ai tre anni di vita. Già nell'infanzia i muscoli profondi delle cosce e delle anche progressivamente si indeboliscono fino a causare difficoltà nel camminare.
Generalmente verso gli 11 anni il bambino è costretto a muoversi su una sedia a rotelle, diventando così dipendente per molti atti della vita quotidiana.
L'aspettativa di vita non supera in media il venticinquesimo anno di età.
Insieme alla sua variante, la distrofia di Becker, le due forme di distrofia rappresentano il 50% di tutte le distrofie muscolari. La malattia ha origine da alterazioni in un gene situato sul cromosoma X che produce una proteina chiamata distrofina, un’impalcatura elastica sulla faccia interna della membrana della fibra muscolare.
La distrofia muscolare di Duchenne quindi colpisce, tranne rarissime eccezioni, esclusivamente i maschi ( un bambino ogni tremila nati ), che possiedono un solo cromosoma X. Le cellule staminali del muscolo, note come cellule satelliti, rigenerano nuove fibre muscolari per sostituire quelle distrutte dalla malattia. Purtroppo le nuove fibre hanno lo stesso difetto genetico di quelle che sostituiscono e quindi ne condividono il destino. Più o meno rapidamente la riserva di cellule staminali del muscolo si esaurisce ed il tessuto muscolare non può più essere ricostruito.
Benché la malattia sia stata descritta da Duchenne più di centocinquanta anni fa e la sua base molecolare sia stata chiarita esattamente venti fa, attualmente non esiste alcuna terapia, se non trattamenti per limitare gli effetti della malattia, prolungare la durata della vita e migliorare le condizioni generali. ( Xagena2006 )
Fonte: Telethon, 2006
Neuro2006
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