AIFA: parere della Commissione Tecnico Scientifica sugli anticorpi monoclonali anti-COVID


Sono in corso studi su numerosi anticorpi monoclonali aventi prevalentemente come target di azione la proteina spike del virus SARS-CoV-2.
Tra i prodotti in studio, gli anticorpi monoclonali prodotti da Eli Lilly e da Regeneron ( per i quali la FDA ha rilasciato un’autorizzazione per l’uso in emergenza ) sono quelli attualmente più progrediti nello sviluppo clinico.
I dati degli studi pubblicati hanno indicato l’assenza di beneficio nei pazienti ospedalizzati con fase avanzata di malattia, mentre l’utilizzo in contesti più precoci è stato associato a una riduzione della carica virale con evidenze preliminari di riduzione del numero di ospedalizzazioni, visite e accessi in Pronto Soccorso.

La Commissione Tecnico Scientifica ( CTS ) ha valutato la possibilità di autorizzare o favorire l’utilizzo di terapie promettenti quali gli anticorpi monoclonali.
Acquisita l'istruttoria, che ha incluso anche i risultati di due studi pubblicati il 21 gennaio 2021 ( e non considerati nella valutazione del novembre 2020 ), al fine di poter esprimere un parere sufficientemente documentato anche in merito alla eventuale definizione di una sottopopolazione nella quale potesse essere ipotizzabile un maggiore beneficio, la Commissione ha convocato le due aziende produttrici Eli Lilly e Regeneron / Roche con l’obiettivo di acquisire tutte le ulteriori evidenze disponibili in merito ai rispettivi farmaci.

Eli Lilly non ha presentato dati ulteriori rispetto a quelli già pubblicati, e ha chiarito che attualmente l’uso di emergenza è stato autorizzato in USA e Canada solo per quanto riguarda il farmaco Bamlanivimab al dosaggio di 700 mg, e che né i dosaggi più alti di esso né la combinazione con Etesevimab risultano attualmente disponibili.
L’Azienda ha confermato che il dato relativo a una riduzione del 70% della mortalità ( che non risulta ancora pubblicato e per il quale nel corso dell’audizione non sono stati presentati risultati ) si riferisce unicamente alla combinazione, attualmente non-disponibile.
Nei pazienti ambulatoriali con sintomi lievi / moderati il dosaggio di 700 mg in monoterapia è associato a una riduzione, in valori assoluti, del tasso di ospedalizzazione o di visite al Pronto soccorso al giorno 29 di circa il 5% nella popolazione generale ( 9/156, pari al 5.8% nel placebo versus 1/101, pari all’1% nel braccio trattato ), che in un’analisi esplorativa appare salire a circa l’11% ( 7/52, pari al 13.5% nel placebo vs 1/37, pari a 2.7% nel braccio trattato ) nei pazienti ad alto rischio. Tuttavia, la correlazione di tali esiti con la riduzione della carica virale non appare attualmente dimostrata.

Riguardo alla combinazione dei due anticorpi di Regeneron / Roche, Imdevimab e Casirivimab, sono stati presentati alcuni dati aggiuntivi che hanno confermato ed esteso quelli già pubblicati.
Anche in questo caso il setting è quello dei soggetti ambulatoriali con sintomi lievi / moderati.
I monoclonali, infatti, non si sono rivelati efficaci nei pazienti più gravi o sotto Ossigeno e alcuni degli studi in tale setting sono stati interrotti per futilità.
I dati riguardano due diversi dosaggi del cocktail e hanno dimostrato in entrambi i casi che il trattamento è più efficace nei soggetti sieronegativi, con alta carica virale e con almeno un fattore di rischio, e che il trattamento si traduce, nella popolazione generale, nella riduzione assoluta del tasso di visite mediche al giorno 29 di circa il 3% ( 6/93 nel gruppo placebo rispetto al 6/182 nel gruppo trattato ). La percentuale di protezione risulta incrementata nei soggetti a rischio.

La Commissione CTS, pur considerando l’immaturità dei dati e la conseguente incertezza rispetto all’entità del beneficio offerto da tali farmaci, ritiene che in via straordinaria e in considerazione della situazione di emergenza, possa essere opportuno offrire comunque una opzione terapeutica ai soggetti non-ospedalizzati che, pur avendo una malattia lieve / moderata risultano ad alto rischio di sviluppare una forma grave di COVID-19 con conseguente aumento delle probabilità di ospedalizzazione e/o morte. Si tratta, in particolare, di un setting a rischio per il quale attualmente non è disponibile alcun trattamento standard di provata efficacia.

La popolazione candidabile al trattamento dovrà essere rappresentata unicamente da soggetti di età superiore ai 12 anni, positivi per SARS-CoV-2, non-ospedalizzati per COVID-19, non-in-Ossigenoterapia per COVID-19, con sintomi di grado lieve-moderato di recente insorgenza ( e comunque da non oltre 10 giorni ) e presenza di almeno uno dei fattori di rischio ( o almeno 2 se uno di essi è l’età superiore ai 65 anni ), come segue:

La popolazione ad alto rischio è costituita da soggetti con le seguenti condizioni: indice di massa corporea ( BMI ) maggiore o uguale a 30; malattia renale cronica; diabete mellito non-controllato; immunodeficienze primitive o secondarie; età superiore ai 65 anni; età uguale o superiore a 55 anni con malattia cardio-cerebrovascolare ( inclusa ipertensione con concomitante danno d’organo ) o BPCO e/o altre malattie respiratorie croniche.

Sono a rischio adolescenti di 12-17 anni con: indice BMI maggiore o uguale a 85esimo percentile per età e genere; anemia falciforme; malattie cardiache congenite o acquisite; malattia del neurosviluppo; dipendenza da dispositivo tecnologico ( p.es. soggetti con tracheotomia, gastrostomia, etc ) o asma o altre malattie respiratorie che richiedono medicazioni giornaliere per il loro controllo.

Secondo la Commissione l’infusione endovenosa dei farmaci deve essere effettuata in un tempo di 60 minuti ( seguiti da altri 60 minuti di osservazione ) in setting che consentano una pronta ed appropriata gestione di eventuali reazioni avverse gravi. ( Xagena2021 )

Fonte: AIFA, 2021

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