Prevenzione del danno cerebrale dopo arresto cardiaco: ipotermia
I ricercatori della Mayo Clinic hanno confermato che i pazienti che ricevono ipotermia terapeutica dopo la rianimazione da arresto cardiaco hanno probabilità di sopravvivere all'evento e recuperare un buono stato funzionale.
Nell’ipotermia terapeutica, la temperatura corporea di un paziente viene raffreddata a 33 gradi Celsius, in modo da rallentare il metabolismo del cervello e proteggere il cervello contro i danni provocati dalla mancanza di flusso di sangue e di ossigenazione.
Lo studio è stato pubblicato su Annals of Neurology.
In questo studio, Alejandro Rabinstein e il suo team di ricercatori hanno identificato 192 pazienti; di questi più di 100 sono stati sottoposti a ipotermia terapeutica.
Per valutare l’entità del danno cerebrale sono stati eseguiti dettagliati esami neurologici, tra cui elettroencefalogrammi, TAC del cervello, e misurazioni di NSE ( enolasi neurone-specifica ).
Un alto livello di NSE nel sangue è in grado di predire in modo affidabile la prognosi non-favorevole dopo un arresto cardiaco nei pazienti non-sottoposti a ipotermia.
Poco era noto riguardo al valore prognostico di questo marker nei pazienti raffreddati dopo arresto cardiaco.
Anche se nello studio, compiuto dai ricercatori della Mayo Clinic, la presenza di livelli elevati di NSE è risultata statisticamente associata a esiti meno favorevoli nei pazienti trattati con ipotermia, i livelli di NSE non erano sufficientemente affidabili per definire la prognosi in questo gruppo di pazienti; i livelli elevati sono stati anche osservati in alcuni pazienti che sono andati incontro a un buon recupero.
Pertanto, i livelli plasmatici di NSE non devono essere utilizzati da soli per definire la prognosi nei pazienti sottoposti a ipotermia.
Dallo studio è emerso che tra i pazienti trattati con ipotermia terapeutica dopo arresto cardiaco resuscitato, fino a due terzi hanno presentato un buon recupero funzionale. ( Xagena2011 )
Fonte: Mayo Clinic, 2011
Cardio2011 Neuro2011
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