Beta-bloccanti per il dolore toracico associato a recente consumo di Cocaina


Sebbene i beta-bloccanti possano prevenire gli eventi avversi dopo infarto miocardico, sono controindicati quando il dolore al petto è associato all'uso recente di Cocaina.

I consigli contro questo uso dei beta-bloccanti sono basati su studi sugli animali, piccoli esperimenti su esseri umani, e aneddotica.
È stato compiuto uno studio per verificare se i beta-bloccanti siano sicuri in questo ambito.

Uno studio retrospettivo di coorte ha riguardato pazienti consecutivi ricoverati al San Francisco General Hospital ( San Francisco, California ), con dolore toracico; sono stati esaminati i risultati tossicologici delle urine positivi ai test per Cocaina per il periodo 2001-2006.
I dati di mortalità sono stati raccolti dal National Death Index.

Su 331 pazienti con dolore toracico e recente consumo di Cocaina, il 46% ha ricevuto beta-bloccanti nel Dipartimento di Emergenza.
Non ci sono state differenze significative nei cambiamenti elettrocardiografici, livelli di troponina, durata del ricovero, uso di agenti vasopressori, intubazione, tachicardia ventricolare o fibrillazione ventricolare, o morte tra chi ha e chi non ha ricevuto un beta-bloccante.

Dopo aggiustamento per potenziali fattori di confondimento, la pressione arteriosa sistolica è significativamente diminuita in media di 8.6 mmHg in coloro che hanno ricevuto un beta-bloccante nel Reparto di Emergenza rispetto a quelli che hanno ricevuto il loro primo beta-bloccante nel reparto ospedaliero ( p=0.006 ).

Dopo un follow-up medio di 972 giorni ( range interquartile, 555-1490 giorni ), e dopo aggiustamento per potenziali fattori confondenti, i pazienti dimessi in un regime di trattamento con beta-bloccanti hanno mostrato una significativa riduzione di mortalità per cause cardiovascolari ( hazard ratio, HR=0.29, p=0.047 ).

In conclusione, i beta-bloccanti non sono risultati associati ad eventi avversi nei pazienti con dolore toracico e recente uso di Cocaina. ( Xagena2010 )

Rangel C et al, Arch Intern Med 2010; 170: 874-879



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