La terapia con un più basso dosaggio di beta-bloccante è associata a un aumento della sopravvivenza dopo infarto miocardico


La terapia con beta-bloccanti dopo infarto miocardico acuto migliora la sopravvivenza. Le dosi di beta-bloccante utilizzate nella pratica clinica sono spesso sostanzialmente più basse di quelle impiegate negli studi clinici randomizzati che hanno l’obiettivo di stabilire l’efficacia terapeutica.

Questo studio ha valutato l'associazione tra dosaggio del beta-bloccante e la sopravvivenza dopo infarto miocardico acuto, ipotizzando che una maggiore dose di beta-bloccante sia associata a un aumento della sopravvivenza.

Un registro multicentrico ha arruolato 7.057 pazienti consecutivi con infarto miocardico acuto.
La dose di beta-bloccante alle dimissioni ospedaliere è stata indicizzata alle dosi target dei beta-bloccanti utilizzati negli studi clinici randomizzati, raggruppati come: 0-12.5%, più del 12.5% al 25%, più del 25% al 50%, e più del 50%.

Dei 6.682 pazienti con dati di follow-up ( mediana 2.1 anni ), il 91.5% è stato dimesso con una terapia a base di un beta-bloccante ( dose media: 38.1% della dose target ).

La mortalità più bassa è stata osservata con tutte le dosi di beta-bloccante ( p inferiore a 0.0002 ) contro nessuna terapia con beta-bloccante.

Dopo aggiustamento multivariato, l’hazard ratio ( HR ) per la mortalità a 2 anni rispetto alla dose maggiore del 50% è stato pari a 0.862, 0.799, e 0.963, rispettivamente, per i gruppi di dosaggio target, 0-12.5%, più del 12.5% al 25%, e più del 25% al 50%.

L'analisi multivariata ha mostrato che le dosi più alte non erano associate a un miglior risultato.

In conclusione, questi dati non hanno dimostrato un aumento della sopravvivenza nei pazienti trattati con dosi di beta-bloccanti che si avvicinavano a quelle utilizzate negli studi clinici randomizzati rispetto alle più basse dosi.
Questi risultati forniscono il razionale per cercare di stabilire il dosaggio appropriato dei beta-bloccanti dopo infarto miocardico. ( Xagena2015 )

Goldberger JJ et al, J Am Coll Cardiol 2015; 66: 1431-1441

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