Sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento ST: il ritardo nell’intervento coronarico percutaneo aumenta il rischio di mortalità


Un’analisi post-hoc dello studio ACUITY ( Acute Catheterization and Urgent Intervention Triage strategY ) ha dimostrato che ritardare l’intervento di angioplastica nei pazienti con sindrome coronarica acuta aumenta il rischio di infarto miocardico e di mortalità.

I pazienti da sottoporre ad intervento coronarico percutaneo ( PCI ) sono stati stratificati in 3 gruppi in base al periodo temporale: inferiore a 8 ore, da 8 a 24 ore, e maggiore di 24 ore.

L’intervento percutaneo è stato eseguito in 7.749 pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento ST ( NSTE ): 2.197 pazienti entro 8 ore dopo la presentazione clinica, 2.740 nell’intervallo 8-24 ore, e 2.812 dopo 24 ore.

I pazienti, in cui l’intervento PCI veniva eseguito dopo 24 ore dalla presentazione della sindrome coronarica acuta presentavano una più alta incidenza, statisticamente significativa, di mortalità ( 1.7% vs 0.8% e 0.5%; p minore di 0.0001 ), infarto miocardico ( 8% vs 4.9% e 5.6%; p minore di 0.0001 ), e ischemia composita [ morte, infarto miocardico, e rivascolarizzazione non-pianificata ( 6.8% vs 6.2% e 4.8%; p=0.001 ) ] a 30 giorni rispetto ai pazienti sottoposti a PCI, rispettivamente, meno di 8 ore, intervallo 8-24 ore dalla presentazione dell’evento.

L’aumento della mortalità e del composito di morte e infarto miocardico nei pazienti sottoposti a PCI dopo più di 24 ore dalla presentazione clinica si è mantenuto ad 1 anno.

Dallo studio è emerso che i pazienti per i quali l’intervento coronarico percutaneo era eseguito con un ritardo maggiore di 24 ore dopo la manifestazione della sindrome coronarica acuta presentavano un rischio di mortalità aumentato di 2.14 volte a 30 giorni e del 57% ad 1 anno, dopo aggiustamento per multivariabili, rispetto ai pazienti sottoposti ad intervento prima delle 24 ore. ( Xagena2010 )

Fonte: Journal of American College of Cardiology, 2010


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