Miglioramento della sopravvivenza con Vemurafenib nel melanoma con mutazione BRAF V600E
Il melanoma metastatico ha una prognosi infausta, con una sopravvivenza media per i pazienti con melanoma di stadio IV che va da 8 a 18 mesi dopo la diagnosi, a seconda del sottostadio.
Negli Stati Uniti, nel 2010, sono previsti 8.700 decessi per melanoma, con un tasso stimato di mortalità di 2.6 su 100.000.
I tassi di mortalità per melanoma in Australia e Nuova Zelanda sono leggermente superiori ( 3.5 su 100.000 ), mentre i tassi in Europa Occidentale sono leggermente più bassi ( 1.8 su 100.000 ).
In uno studio di fase 3, la Dacarbazina ( Deticene ), l'unico agente chemioterapico approvato dalla FDA ( Food and Drug Administration ) per il trattamento del melanoma metastatico, è risultata associata a un tasso di risposta del 7-12% e a una sopravvivenza globale media di 5.6-7.8 mesi dall’inizio del trattamento.
Sebbene i tassi di risposta più elevati possano essere raggiunti con la chemioterapia di combinazione, queste associazioni non hanno portato a miglioramento dei tassi di sopravvivenza complessiva.
Recentemente, l'uso di Ipilimumab ( Yervoy ), un anticorpo monoclonale che blocca l’antigene 4 associato ai linfociti T citotossici ( CTLA4 ) sui linfociti, è stato associato a miglioramento della sopravvivenza complessiva, confrontato con un vaccino peptidico, e in combinazione con la Dacarbazina ha mostrato un miglioramento della sopravvivenza generale rispetto alla sola Dacarbazina.
Circa il 40-60% dei melanomi cutanei presentano mutazioni del gene BRAF che risultano nell’attivazione costitutiva della segnalazione attraverso la via MAPK.
Circa il 90% di queste mutazioni risulta nella sostituzione di acido glutammico per la valina al codone 600 ( BRAF V600E ) , anche se sono note altre mutazioni attivanti ( ad esempio, BRAF V600K e BRAF V600R ).
Vemurafenib ( PLX4032; Zelboraf ) è un potente inibitore della mutazione BRAF. Ha marcati effetti antitumorali contro le linee cellulari di melanoma con la mutazione BRAF V600E, ma non contro le cellule con BRAF wild-type ( non-mutato ).
Uno studio di fase 1 ha stabilito che la dose massima tollerata di Vemurafenib è di 960 mg due volte al giorno.
Uno studio di fase 2 che ha coinvolto pazienti che avevano ricevuto un precedente trattamento per il melanoma con mutazione BRAF V600E ha mostrato un tasso di risposta confermato del 53%, con una durata media della risposta di 6.7 mesi.
È stato condotto uno studio randomizzato di fase 3 per determinare se Vemurafenib possa prolungare il tasso di progressione o di sopravvivenza globale, rispetto alla Dacarbazina.
Disegno dello studio e trattamento
Durante l’anno 2010, un totale di 2.107 pazienti sono stati sottoposti a screening in 104 Centri in 12 Paesi in tutto il mondo.
La ragione più comune per un mancato screening era un test negativo per la mutazione BRAF V600.
Un totale di 675 pazienti sono stati assegnati in modo casuale, in un rapporto 1:1, a ricevere Vemurafenib ( alla dose di 960 mg due volte al giorno per via orale ) o Dacarbazina ( alla dose di 1000 mg per metro quadro di superficie corporea, mediante infusione endovenosa ogni 3 settimane ).
Tra questi pazienti ve ne erano 20 con mutazioni non-V600E ( 19 con V600K e 1 con V600D ).
Valutazioni
Al basale, i pazienti sono stati sottoposti a tomografia computerizzata con mezzo di contrasto o a risonanza magnetica di cervello, torace, addome, bacino e altre regioni anatomiche, come clinicamente indicato.
I pazienti sono stati esaminati ogni 3 settimane; le valutazioni dei tumori sono state effettuate al basale, alle settimane 6 e 12, e da lì in poi ogni 9 settimane.
Le risposte tumorali sono state determinate dai ricercatori in base ai criteri RECIST ( Response Evaluation Criteria in Solid Tumors ).
Le reazioni avverse sono stati classificate secondo il National Cancer Institute Common Terminology Criteria per gli eventi avversi. Il monitoraggio degli eventi avversi è continuato fino a 28 giorni dopo aver somministrato l'ultima dose del farmaco oggetto di studio o finchè qualsiasi evento in corso non si fosse risolto o stabilizzato.
Efficacia
Un totale di 672 pazienti sono stati valutati per la sopravvivenza globale.
L'hazard ratio ( HR ) per la mortalità nel gruppo Vemurafenib è stato pari a 0.37 ( p inferiore a 0.001 ).
Il beneficio di sopravvivenza nel gruppo Vemurafenib è stato osservato in ogni sottogruppo prespecificato, a seconda dell’età, sesso, ECOG performance status, stadio del tumore, livello di lattato deidrogenasi, e regione geografica.
A 6 mesi, la sopravvivenza globale è stata dell'84% nel gruppo Vemurafenib e del 64% nel gruppo Dacarbazina.
È stato richiesto un ulteriore follow-up.
La sopravvivenza libera da progressione è stata valutata in 549 pazienti. L'hazard ratio per la progressione tumorale nel gruppo Vemurafenib è stato pari a 0.26 ( p inferiore a 0.001 ).
La sopravvivenza libera da progressione media stimata è stata di 5.3 mesi nel gruppo Vemurafenib e di 1.6 mesi nel gruppo Dacarbazina.
Una sopravvivenza libera da progressione con Vemurafenib superiore a quella con Dacarbazina è stata osservata in tutti i sottogruppi che sono stati analizzati.
Un totale di 439 pazienti ( 65% ) sono stati valutati per la risposta del tumore sulla base di essere stati randomizzati almeno 14 settimane prima della data di cutoff clinico del 30 dicembre 2010.
Nel gruppo Vemurafenib, la maggior parte dei pazienti ha avuto una diminuzione rilevabile delle dimensioni del tumore e 106 pazienti su 219 hanno avuto una risposta obiettiva confermata ( tra cui 2 pazienti con una risposta completa e 104 con una risposta parziale ), con un tempo medio alla risposta di 1.45 mesi.
Nel gruppo Vemurafenib, sono stati successivamente trovati 10 pazienti con mutazioni BRAF V600K; di questi pazienti, 4 hanno presentato una risposta parziale ( 40% ).
Nel gruppo Dacarbazina, una minoranza dei pazienti ha avuto una diminuzione rilevabile delle dimensioni del tumore, e solo 12 dei 220 pazienti ( 5% ) hanno soddisfatto i criteri per una risposta confermata ( tutte risposte parziali ), con un tempo medio alla risposta di 2.7 mesi.
La differenza nei tassi di risposta confermati tra i due gruppi di studio ( 48% contro 5% ) è stata altamente significativa ( p inferiore a 0.001 per il test chi-quadro ).
Eventi avversi
Un totale di 618 pazienti ( 92% ) sono stati sottoposti ad almeno una valutazione alla data di cutoff clinico e sono stati valutati per gli effetti tossici.
Le più comuni reazioni avverse nel gruppo Vemurafenib sono state: eventi cutanei, artralgia e affaticamento; nel 12% dei pazienti sono state osservate reazioni cutanee di fotosensibilità di grado 2 o 3, con le reazioni di grado 3 caratterizzate dalla formazione di vescicole che avrebbero potuto essere evitate con una protezione solare.
Come previsto, i più comuni effetti tossici gravi nel gruppo Dacarbazina sono stati: affaticamento, nausea, vomito e neutropenia.
Gli eventi avversi hanno portato a una modificazione della dose o a interruzione della somministrazione in 129 pazienti su 336 ( 38% ) nel gruppo Vemurafenib e in 44 pazienti su 282 ( 16% ) nel gruppo Dacarbazina.
Nel gruppo Vemurafenib, in 61 pazienti ( 18% ) si è sviluppato un carcinoma cutaneo a cellule squamose, un cheratoacantoma, o entrambi. Tutte le lesioni sono state trattate con escissione semplice.
Discussione
In questo studio, Vemurafenib è stato associato a una riduzione relativa del 63% nel rischio di mortalità e del 74% nel rischio di progressione tumorale in pazienti precedentemente non-trattati con melanoma non-resecabile con mutazione BRAF V600E allo stadio IIIC o IV, rispetto alla Dacarbazina.
Un beneficio è stato osservato in tutti i sottogruppi di pazienti inclusi nella analisi, inclusi i pazienti con malattia in stadio M1c o con un elevato livello di lattato deidrogenasi, entrambi associati a prognosi particolarmente infausta.
Recentemente, Ipilimumab, un anticorpo anti-CTLA4, ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza complessiva nei pazienti con melanoma metastatico, rispetto a un vaccino peptidico, anche se c'è stato solo un modesto effetto sui tassi di risposta e sulla sopravvivenza senza progressione.
L'uso di Ipilimumab combinato con Dacarbazina è anche stato associato a migliori tassi di sopravvivenza rispetto alla sola Dacarbazina.
Complessivamente, il 48% dei pazienti trattati con Vemurafenib ha soddisfatto i criteri per una risposta confermata, anche se la maggior parte dei pazienti ha mostrato una qualche riduzione della massa tumorale.
Questo risultato è stato coerente con i tassi di risposta confermata registrati nella estensione della coorte di fase 1 e in un recente studio di fase 2 che ha coinvolto i pazienti trattati in precedenza. Inoltre, 4 dei 10 pazienti con mutazione BRAF V600K hanno avuto una risposta a Vemurafenib, indicando che i melanomi con questa variante sono più sensibili a Vemurafenib.
Il tasso di risposta confermata nella coorte con Dacarbazina è stato pari a 5%, leggermente inferiore rispetto agli ultimi studi di fase 3.
Questo era uno studio randomizzato di confronto tra Vemurafenib e Dacarbazina in cui sono stati trattati solo i pazienti con melanoma BRAF-mutato.
Studi recenti hanno evidenziato che i melanomi con mutazione BRAF V600E sono più aggressivi e meno sensibili alla chemioterapia dei melanomi BRAF wild-type.
Inoltre, 48 pazienti ( 14% ) nel gruppo Dacarbazina non hanno ricevuto alcun trattamento, generalmente perché il paziente ha ritirato il consenso.
I pazienti che hanno ricevuto Vemurafenib hanno riportato relativamente pochi eventi avversi di grado 3 o superiore.
I più comuni effetti tossici di grado 3 ( o maggiore ) correlati al farmaco, diversi dal carcinoma cutaneo a cellule squamose e dal cheratoacantoma, sono stati rash, artralgie, fotosensibilità e affaticamento.
Complessivamente, il 38% dei pazienti trattati con Vemurafenib ha richiesto un cambiamento della dose a causa degli eventi avversi.
Tra i pazienti trattati con Vemurafenib, il 18% ha riportato almeno un carcinoma a cellule squamose della pelle o un cheratoacantoma.
Queste lesioni sono state semplicemente asportate, e nessuno ha richiesto una modifica della dose di Vemurafenib.
Questi tassi sono leggermente inferiori a quelli riportati nella fase 1 e 2 degli studi di Vemurafenib, probabilmente a causa del breve follow-up dello studio.
Il carcinoma cutaneo a cellule squamose e il cheratoacantoma sono stati riscontrati anche nei pazienti trattati con Sorafenib, un altro anticorpo monoclonale con attività inibitoria contro le RAF chinasi.
Nessuna altra neoplasia secondaria è stata osservata nei pazienti dello studio.
Il meccanismo di induzione delle neoplasie cutanee è sotto esame, ma si è ipotizzato che coinvolga l'effetto attivante di Vemurafenib sulle cellule preneoplastiche in cui il gene BRAF wild-type è ulteriormente innescato da vie biologiche di attivazione.
E’ stato dimostrato che Vemurafenib e altri inibitori delle RAF chinasi possono potenziare l'attività della via MAPK nelle cellule con BRAF wild-type. Questa scoperta potrebbe spiegare l'indice terapeutico favorevole di Vemurafenib nei pazienti con melanoma con mutazione BRAF V600E, ma suggerisce anche che Vemurafenib potrebbe accelerare la crescita di alcuni tumori con BRAF wild-type.
Rimane da chiarire come i melanomi diventino resistenti a Vemurafenib.
Studi hanno indicato che la via MAPK viene riattivata nei tumori resistenti.
Sebbene il preciso meccanismo di riattivazione sia ancora oggetto di indagine, le mutazioni gatekeeper di BRAF, che impedirebbero a Vemurafenib di legarsi a BRAF, non sono state osservate.
In conclusione, i risultati hanno mostrato che Vemurafenib in monoterapia ha migliorato i tassi di risposta e sia la sopravvivenza libera da progressione sia la sopravvivenza globale, rispetto alla Dacarbazina, nei pazienti con melanoma metastatico con mutazione BRAF V600E. ( Xagena2011 )
Fonte: The New England Journal of Medicine, 2011
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