Carcinoma della prostata - Trattamenti multimodali - Lineeguida AIOM 2024
- Radioterapia e ormonoterapia
Dai dati della letteratura emerge chiaramente che nel carcinoma della prostata ad alto rischio l’aggiunta della terapia androgeno-deprivativa ( ADT ) alla radioterapia migliora la sopravvivenza globale rispetto alla sola radioterapia o alla sola terapia ADT. Tuttavia, per lungo tempo, la durata ideale dell’uso concomitante della terapia ADT nei pazienti con carcinoma prostatico localizzato sottoposti a radioterapia con intento radicale è rimasta indefinita.
Il consorzio MARCAP ( Meta-Analysis of Randomized trials in Cancer of the Prostate ) ha condotto la prima metanalisi che ha valutato la durata ottimale di tale associazione. I dati sono stati ricavati da 12 studi randomizzati con 10.853 pazienti a rischio intermedio (43%) o alto (57%) secondo la classificazione NCCN, due terzi dei quali sottoposti ad almeno 6 mesi di terapia ADT concomitante, con un follow-up mediano di 11,4 anni ( range 9-15 ). I risultati, non altrimenti desumibili dai singoli studi, hanno evidenziato un significativo beneficio in termini
di sopravvivenza libera da metastasi a distanza ( DMFS ) – endpoint primario – con l’aggiunta della terapia ADT alal radioterapia, con un NNT ( number-needed-to-treat ) per prevenire un evento di metastasi a distanza a 10 anni di 8-18 pazienti in base alla classe di rischio. Inoltre, il prolungamento della terapia ADT adiuvante ad almeno 18 mesi in associazione a precedente radioterapia ha mostrato di incrementare ulteriormente la sopravvivenza libera da metastasi a distanza rispetto alla terapia ADT di breve durata ( durata mediana: 5 mesi ), con beneficio assoluto a 10 anni del 7,7% e un NNT pari a 10 pazienti nella malattia ad alto rischio. In termini di sopravvivenza globale ( OS ) il massimo beneficio è stato osservato con una durata mediana di terapia ADT di 19,3 mesi, mentre con un uso più prolungato tale beneficio è risultato attenuarsi probabilmente a causa di un aumento della mortalità per altre cause. Di contro, un uso prolungato della terapia ADT è rimasto associato a
un miglioramento dei tassi di sopravvivenza libera da metastasi a distanza e mortalità specifica per cancro alla prostata ( PCSM ), eventi non direttamente influenzati dal rischio concorrente di mortalità per altre cause. Infine, tali risultati non sono risultati significativamente condizionati dalla dose di radioterapia, dalla classe di rischio NCCN o dall’età del paziente. Tutti gli studi inclusi in questa metanalisi hanno utilizzato radioterapia con frazionamento convenzionale della dose, e che ad oggi non sono disponibili dati di studi randomizzati in grado di dimostrare un effetto derivante dall’intensificazione del trattamento ADT in presenza di schemi di frazionamento alternativi, come l’ipofrazionamento moderato o estremo ( SBRT ).
Un’ulteriore metanalisi ( LEVIATHAN ) ha valutato l’incidenza di recidiva locale nei pazienti radiotrattati per carcinoma prostatico. In particolare, è stata eseguita un’analisi aggregata su 12.533 pazienti ( 6288 ad alto rischio e 6245 a rischio intermedio ) arruolati in 18 studi randomizzati, con un follow-up mediano di 11 anni. Nei pazienti ad alto rischio si sono verificate 795 ( 13% ) recidive locali e 1288 ( 21% ) metastasi a distanza, mentre in quelli a rischio intermedio l’incidenza di recidiva locale e di metastasi a distanza è stata equivalente ( rispettivamente del 7,2% e 7,2% ). In entrambi i gruppi, la maggior parte ( 81% ) delle metastasi a distanza si è sviluppata da una condizione libera da recidiva clinica ( cRF ), il che sottolinea la necessità di un trattamento sistemico appropriato nei pazienti con malattia organo-confinata, coerentemente con l’osservazione che la terapia ADT ha un impatto più significativo sulla sopravvivenza libera da metastasi a distanza indipendentemente dalla dose della radioterapia.
Nell’ambito dei trattamenti multimodali per la terapia della malattia localizzata ad alto rischio è stato valutato il ruolo della chemioterapia con Docetaxel.
Nello studio di fase III RTOG 0521 i pazienti venivano randomizzati a trattamento standard ( radioterapia prostata più terapia ADT per 2 anni ) versus terapia sperimentale ( radioterapia prostata più terapia ADT per 2 anni più Docetaxel per 6 cicli ).
La sopravvivenza a 10 anni di follow-up è risultata pari al 64% con terapia ADT più radioterapia versus 69% con terapia ADT più radioterapia più Docetaxel ( HR 0,89; IC90% 0,70-1,14; p=0,22 ). Questi risultati hanno indicato che Docetaxel non dovrebbe essere utilizzato nel trattamento della malattia localizzata ad alto rischio.
Nei pazienti con malattia localmente avanzata a maggior rischio è stato inoltre studiato un approccio terapeutico più invasivo che utilizza la terapia ADT in associazione ai nuovi trattamenti ormonali ( ARSI; androgen-receptor signaling inhibitors ) e in particolare all’Abiraterone acetato. In quest’ambito vanno citate le evidenze provenienti dalla piattaforma STAMPEDE e specificatamente dallo studio di Abiraterone acetato più standard di cura ( SOC ) versus solo standard di cura, e da quello che confrontava Enzalutamide più Abiraterone acetato più standard di cura versus solo standard di cura. Lo standard di cura era rappresentato da radioterapia più terapia ADT per 3 anni. L’analisi di sopravvivenza globale condotta con 147 eventi di decesso nel braccio di combinazione e 236 nel braccio di controllo ha mostrato una sopravvivenza più lunga nel braccio sperimentale con terapia basata sulla somministrazione di Abiraterone acetato più o meno Enzalutamide versus standard di cura, una riduzione del rischio di morte del 40% ( HR 0,60; IC95% 0,48-0,73; p minore di 0,0001 ) e un miglioramento del tasso di sopravvivenza a 6 anni dal 77% per il braccio di sola
terapia ADT all’86% per il braccio di combinazione. L’analisi del tempo allo sviluppo di metastasi ha mostrato una sopravvivenza libera da metastasi ( MFS ) più lunga nel braccio sperimentale con terapia basata sulla somministrazione di Abiraterone acetato più o meno Enzalutamide rispetto allo standard di cura, una riduzione del rischio di sviluppare metastasi del 47% ( HR 0,53; IC95% 0,44-0,64; p minore di 0,0001 ) e un miglioramento del tasso di pazienti liberi da metastasi a 6 anni dal 69% per il braccio di sola terapia ADT all’82% per il braccio di combinazione. La sopravvivenza
tumore prostatico-specifica ( PCSS ) era significativamente aumentata nel gruppo di
terapia di combinazione con Abiraterone rispetto al braccio di controllo di sola terapia di ADT, con mediane di sopravvivenza non-raggiunte ma con una riduzione del rischio di morte del 51% ( HR 0,49; IC95% 0,37-0,65; p minore di 0,001 ) e una sopravvivenza cancro-specifica a 6 anni del 93% per il gruppo di combinazione rispetto all’85% del gruppo di controllo.
Ad oggi queste evidenze provenienti dalla piattaforma STAMPEDE sono le uniche che hanno valutato l’aggiunta degli ARSI alla radioterapia e alla terapia ADT nel trattamento del carcinoma prostatico localmente avanzato ad alto rischio.
Nell’ambito dei trattamenti multimodali ad oggi lo standard è rappresentato dalla
combinazione radioterapia più terapia ADT ( la cui durata in associazione alla radioterapia varia da 4-6 mesi per il rischio intermedio a 18-36 mesi per la neoplasia prostatica ad alto rischio ). Per quanto riguarda l’intensificazione del trattamento non serve l’aggiunta della chemioterapia con Docetaxel.
Chirurgia radicale e ormonoterapia
La terapia ADT è stata valutata sia a scopo neoadiuvante prima della prostatectomia radicale, sia ad intento adiuvante nei pazienti che presentino fattori prognostici sfavorevoli dopo la prostatectomia radicale.
- Chirurgia e ormonoterapia neoadiuvante
Lo scopo della terapia ormonale neoadiuvante è quello di ottenere una riduzione di stadio ( downstaging ) della malattia, di ridurre il rischio di margini chirurgici positivi e di agire su potenziali micrometastasi con l’obiettivo finale di migliorare la sopravvivenza. Sebbene siano stati documentati un downstaging di malattia e una riduzione della percentuale di margini chirurgici positivi nei pazienti trattati con terapia neoadiuvante, nessuna differenza è emersa in termini di ripresa biochimica di malattia e sopravvivenza globale con l’impiego in neoadiuvante di analoghi di LHRH ( ormone stimolante il rilascio dell'ormone luteinizzante ) o antiandrogeni.
Nessun vantaggio significativo in termini di ripresa biochimica di malattia è stato evidenziato anche con l’utilizzo in neoadiuvante di Docetaxel in associazione con terapia androgeno-soppressiva.
Peraltro, il tasso di eventi avversi di grado 3 e 4 osservato nel braccio di pazienti sottoposto a trattamento neoadiuvante è risultato superiore ( 26% ) rispetto al braccio di controllo ( 19% ).
Sono attualmente in fase di valutazione studi che utilizzano in neoadiuvante i più moderni ARSI ( Abiraterone, Enzalutamide, Apalutamide ). I risultati di questi studi che confrontano l’impiego per 3-6 mesi di una combinazione di ARSI + analoghi LHRH versus terapia con soli analoghi LHRH sono ancora immaturi e potrebbero essere limitati dalla mancanza di un gruppo di controllo costituito da pazienti sottoposti solo a prostatectomia radicale.
Pertanto, al momento attuale non vi è indicazione all’utilizzo con intento neoadiuvante della terapia
androgeno-soppressiva in monoterapia o in associazione alla chemioterapia. Rimane da valutare il
potenziale ruolo in neoadiuvante degli ARSI.
- Chirurgia più ormonoterapia adiuvante
Nel 2006 uno studio randomizzato ha valutato l’efficacia della terapia ADT somministrata dopo la prostatectomia radicale nei pazienti con evidenza di metastasi linfonodali.
I pazienti trattati con terapia androgeno-soppressiva adiuvante hanno ottenuto un vantaggio significativo sia in termini di sopravvivenza globale che di sopravvivenza cancro-specifica e progressione libera da malattia.
Sebbene lo studio presentasse dei punti critici e una bassa qualità, è attualmente accettato che il trattamento adiuvante con analoghi LHRH per 2-3 anni possa essere preso in considerazione nei pazienti con malattia linfonodale riscontrata dopo prostatectomia radicale e linfadenectomia pelvica. Tuttavia, nei pazienti con interessamento di un singolo linfonodo o con riscontro di micrometastasi, il trattamento androgeno-soppressivo adiuvante dovrebbe essere avviato dopo averne pesato i potenziali benefici e rischi; in quest’ambito, inoltre, sulla scorta dei risultati dello studio pubblicato da Tilki et al. nel 2022, può essere presa in considerazione la radioterapia.
I risultati dell’Early Prostate Cancer Programme ( EPCP ) non hanno dimostrato alcun beneficio sostanziale in termini di sopravvivenza globale nei pazienti sottoposti a trattamento adiuvante con Bicalutamide in monoterapia rispetto a quelli trattati dopo chirurgia con placebo. Pertanto, l’utilizzo della Bicalutamide come terapia adiuvante dopo prostatectomia radicale non è giustificato nella pratica clinica.
- Radioterapia adiuvante dopo chirurgia radicale
Circa il 50% dei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale può registrare negli anni una recidiva biochimica.
Tre studi randomizzati di fase III hanno indagato il ruolo della radioterapia adiuvante nei pazienti con infiltrazione capsulare, invasione delle vescicole seminali e/o margini positivi ( EORTC 22911, SWOG S8794 e ARO 96-02/AUO AP 09/95 ), dimostrando un vantaggio in termini di progressione
biochimica ( bPFS ) a favore del trattamento radioterapico adiuvante.
La revisione della Cochrane Library includente i 1815 pazienti arruolati nei 3 studi randomizzati ha
confermato un vantaggio a lungo termine ( 10 anni ) in termini di sopravvivenza globale e di sopravvivenza libera da metastasi a favore della radioterapia adiuvante. Una maggiore incidenza di stenosi uretrale e incontinenza urinaria nei pazienti avviati a radioterapia adiuvante è stata evidenziata in tutti e tre gli studi menzionati; tuttavia le complicanze severe di grado maggiore o uguale a 3 sono risultate rare.
Negli ultimi anni si è andata sempre più affermando una strategia di radioterapia differita ( salvataggio precoce ) che ha reso la strategia adiuvante sempre meno utilizzata, anche se due ampie casistiche hanno dimostrato come l’utilizzo della radioterapia adiuvante immediata per i pazienti con fattori di rischio sfavorevoli ( almeno due tra pT3b/T4, Gleason 8-10, pN1 ) riduca il rischio di mortalità ( all-cause mortality ) e migliori la sopravvivenza cancro-specifica rispetto al trattamento di salvataggio precoce. Pertanto è ormai pratica comune preferire una strategia di radioterapia differita nei pazienti con antigene prostatico ( PSA ) azzerato post-prostatectomia e in assenza di metastasi linfonodali ( pN0 ) ed utilizzare invece il trattamento radiante adiuvante nei pazienti con PSA azzerato post-prostaectomia ma presenza di metastasi linfonodali ( pN1 ).
È opportuno sottolineare che, prima di proporre un trattamento adiuvante immediato ( entro 6 mesi dalla chirurgia ), nei pazienti con PSA soppresso dopo prostatectomia radicale e almeno 2 fattori di rischio sfavorevoli, è necessario che la funzionalità urinaria sia recuperata e giudicata soddisfacente dal paziente.
- Radioterapia adiuvante versus radioterapia di salvataggio precoce
Anche se la radioterapia adiuvante è una pratica consolidata specie nei pazienti più a rischio, nell’ultimo decennio è andata affermandosi nella pratica clinica la tendenza a sostituire il trattamento adiuvante immediato con il trattamento di salvataggio precoce nei pazienti a minor rischio di recidiva, per consentire il miglior recupero della continenza e soprattutto per evitare l’overtreatment di pazienti che probabilmente non sarebbero destinati a una ripresa di malattia biochimica. Punto cruciale di una strategia differita è la precocità con cui il paziente viene avviato a radioterapia in caso di aumento dei livelli di PSA, che generalmente è consigliata per valori tra 0,2 ng/ml e 0,5 ng/ml.
Quesito: Nei pazienti prostatectomizzati con PSA postoperatorio azzerato ( comunque inferiore a 0,2 ng/ml ) ma fattori di rischio sfavorevoli all’esame istopatologico definitivo ( maggiore o uguale a pT3/pN0/margini positivi/GS 8-10 ), la radioterapia di salvataggio precoce è raccomandabile come alternativa alla radioterapia adiuvante, in termini di progressione di malattia e di tossicità ?
Raccomandazione: Nei pazienti prostatectomizzati con PSA postoperatorio azzerato ( comunque inferiore a 0,2 ng/ml ) ma fattori di rischio sfavorevoli all’esame istopatologico definitivo ( maggiore o uguale a pT3/pN0/margini positivi/GS 8-10 ), la radioterapia di salvataggio precoce può essere presa
in considerazione in alternativa alla radioterapia adiuvante ( Qualità globale delle prove: bassa; Forza della raccomandazione: condizionata a favore ) ( Xagena2024 )
Fonte: Lineeguida AIOM 2024 [ Istituto Superiore di Sanità ]
XagenaMedicina_2024
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