Emofilia A e B: sintomi, diagnosi e terapia


L’emofilia è una malattia congenita ed ereditaria, che consiste nella mancanza o nella carenza di una proteina della cascata coagulativa del sangue, ( fattore VIII per l’emofilia A, e fattore IX per l’emofilia B ), fondamentale nei processi di coagulazione.

I due tipi di emofilia più conosciuti sono l'emofilia A e l’emofilia B.

L’emofilia A, o emofilia classica ( la forma più comune ), e l’emofilia B, o malattia di Christmas ( dal nome della famiglia nella quale è stata identificata per la prima volta ), sono caratterizzate da: manifestazioni cliniche molto simili, alterazioni laboratoristiche ai test di screening pressoché sovrapponibili e analoga trasmissione genetica, legata al cromosoma X.

Sono state identificate diverse mutazioni con anomalie genetiche responsabili della malattia: mutazioni puntiformi che coinvolgono un singolo nucleotide, delezioni di tutto o di parti del gene e mutazioni che interessano la regolazione genica.
L’emofilia è una malattia legata al sesso: i geni che codificano per i fattori VIII e IX sono infatti localizzati sul cromosoma X, e per questo l'emofilia colpisce quasi esclusivamente i maschi (XY), mentre le figlie di soggetti emofilici saranno portatrici obbligate (XX). Ciascun figlio maschio di una portatrice ha, poi, il 50% delle possibilità di essere emofilico e ciascuna figlia ha il 50% delle possibilità di essere portatrice. È molto raro che una donna sia colpita da emofilia; perché ciò accada, il padre deve essere emofilico e la madre portatrice sana.

Diffusione

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ( OMS ), l’emofilia colpisce ogni anno, nel mondo, circa 15-20 bambini ogni 100.000 nuovi nati. Le persone affette da emofilia A in Europa sono circa 37.000, anche se gli esperti ritengono che questa cifra sia sottostimata.

In Italia vi sono circa 5.000 individui emofilici, ai quali vanno aggiunti i soggetti colpiti da alcune patologie della coagulazione affini, per un totale di 6.000 persone. L’incidenza è quindi di 1 soggetto affetto ogni 10.000 nati per l’emofilia A, e di 1 ogni 50.000 per quanto riguarda l’emofilia B.

Segni e sintomi

L’emofilia provoca emorragie a livello delle articolazioni ( in particolare, ginocchio, gomito e caviglia ), dei muscoli e di altri tessuti molli. Le complicanze dell'emofilia dipendono dalla gravità, dalla sede e dalla frequenza delle emorragie. L’emofilia viene classificata per gravità a seconda della quantità di fattore della coagulazione presente nel sangue.

I pazienti con livelli di fattore VIII o IX inferiori all’1% rispetto ai valori normali, possono andare incontro a gravi episodi emorragici durante la propria vita. Le emorragie gravi e acute possono mettere a rischio la vita dell’emofilico perché, se non riconosciute e trattate, portano a uno shock acuto ipovolemico ( diminuzione del volume del sangue ). Altrettanto gravi possono essere le conseguenze di emorragie interne, che possono insorgere spontaneamente o dopo minimi traumi, protrarsi nel tempo e diventare fatali.

In caso di grave deficit di FVIII ( inferiore all’1% ), traumi anche di lieve entità possono causare estese emorragie tissutali ed emorragie intra-articolari definite emartri, che, se non trattate in maniera tempestiva, possono portare a deformità muscoloscheletriche altamente invalidanti. Anche un banale colpo alla testa richiede un rapido trattamento sostitutivo per prevenire la comparsa di un sanguinamento intracranico; ad oggi la causa di morte più frequente tra gli emofilici è l’emorragia cerebrale.

I pazienti con livelli del fattore VIII o IX compresi circa tra il 2% e il 5% rispetto al range di normalità, vengono definiti portatori di emofilia moderata, che può non essere diagnosticata sino all’adolescenza o addirittura all’età adulta. Questi soggetti raramente vanno incontro a emorragie spontanee; tuttavia, se non trattati correttamente, possono presentare sanguinamenti gravi o anche fatali a seguito di traumi o interventi chirurgici.

I pazienti con livelli del fattore VIII o IX compresi circa tra il 10% e il 30% del normale presentano un’emofilia lieve, con manifestazioni occasionali che generalmente richiedono un trattamento solo nel caso di un trauma, di un intervento chirurgico o di un’estrazione dentaria. Le emorragie spontanee in questi individui sono estremamente rare. Per la presenza di una certa quota di fattore della coagulazione, le emorragie lievi e le lesioni di piccola entità possono guarire spontaneamente.

Anche per questi pazienti comunque, le complicanze legate alle emorragie sono numerose: gli ematomi, ovvero le emorragie all'interno del tessuto sottocutaneo o dei muscoli, possono infatti causare contratture muscolari, paralisi dei nervi, fino a portare ad atrofia dei muscoli; oppure si possono formare cisti ossee ( conseguenti alla compressione esercitata dagli ematomi sui tessuti circostanti e al mancato riassorbimento delle emorragie ), complicanze neurologiche, coliche renali.

Diagnosi

Nella maggior parte dei casi, l’emofilia è diagnosticata attraverso esami di laboratorio che identificano la mancanza o la carenza di uno dei fattori della coagulazione.
Il riscontro di un tempo di tromboplastina parziale prolungato ( aPTT ), un tempo di protrombina normale ( PT ) e un tempo di sanguinamento normale possono orientare per una diagnosi di emofilia. Il successivo dosaggio specifico dei fattori VIII e IX conferma la diagnosi e indica il tipo e la gravità dell'emofilia.

Poiché i livelli del fattore VIII possono trovarsi ridotti anche in un’altra malattia congenita caratterizzata da una carenza di fattore di von Willebrand ( vW ), definita appunto malattia di von Willebrand, è necessario misurare anche il fattore vW antigene nei pazienti con emofilia A di recente diagnosi. Alcuni pazienti hanno un anomalo fattore vW che si lega abnormemente al fattore VIII, che viene così catabolizzato più rapidamente ( malattia di von Willebrand, tipo 2N ).

Dosando il fattore VIII e confrontandolo con il livello del fattore di von Willebrand ( vW ), è possibile poi stabilire se una donna sia portatrice vera di emofilia A. Analogamente, dosando il fattore IX si riesce a identificare la condizione di portatrice di emofilia B.

L'analisi del DNA mediante tecniche di PCR per valutare l’espressione del gene del fattore VIII dei linfociti è praticabile in pochi Centri specializzati. Questa tecnica permette l'identificazione dei portatori di emofilia A, sia direttamente, mediante riconoscimento diretto di un difetto genomico conosciuto e specifico negli antecedenti ereditari, sia indirettamente, attraverso lo studio del polimorfismo legato al gene del fattore VIII. Queste tecniche sono state anche impiegate per la diagnosi prenatale di emofilia A attraverso l’esame del DNA estratto dai villi coriali.

Dopo terapia trasfusionale, circa il 15% dei pazienti con emofilia A sviluppa anticorpi che inibiscono l'attività coagulante del fattore VIII somministrato al paziente; è quindi necessario indagare l'attività anticoagulante anti-fattore VIII ( per esempio, determinando l'entità dell'accorciamento dell’aPTT ), in particolare in previsione di un intervento chirurgico che richieda una terapia sostitutiva.

Terapia

La terapia dell’emofilia si basa sulla somministrazione del fattore di coagulazione mancante ( terapia sostitutiva ). Per l'emofilia A, il trattamento elettivo sarà la somministrazione per via endovenosa del fattore VIII, mentre per l'emofilia B, si avrà somministrazione del fattore IX.

Fino a pochi anni fa l'unico modo per ottenere questi fattori di coagulazione era quello di concentrarli partendo dal sangue di donatori ( fattore VIII derivato dal plasma ), con un notevole rischio di trasmissione di infezioni virali, quali quelle da virus HIV ( virus dell’AIDS ), virus dell'epatite B ( HBV ) e dell'epatite C ( HCV ).
Negli anni passati, molti emofilici sono stati contagiati da questi virus presenti nel sangue dei donatori; oggi, grazie ai maggiori controlli e ai trattamenti cui viene sottoposto il sangue dei donatori, il rischio si è ridotto di molto, anche se non completamente annullato.

Oggi, grazie alle tecniche di ingegneria genetica ( DNA ricombinante ) è possibile ottenere i fattori di coagulazione in laboratorio ed in maggiore quantità, e senza la necessità di ricorrere a donatori, riducendo così il pericolo di infezioni ( fattore VIII ricombinante ).

Attualmente, la principale complicanza della terapia sostitutiva è rappresentata dalla comparsa, nel sangue dei riceventi, di anticorpi diretti contro il fattore VIII o IX chiamati inibitori. Dal 20 al 30% dei soggetti affetti da emofilia, in particolare da emofilia grave, sviluppa questi inibitori. Sono stati riconosciuti diversi fattori di rischio nello sviluppo di questi inibitori, sia legati a caratteristiche del paziente ( etnia, familiarità ), sia al tipo di mutazione genetica implicata ( grandi delezioni ), sia ambientali, sia al tipo di terapia sostitutiva utilizzata e alla sua modalità.
A quale delle 2 famiglie di prodotti, se ricombinanti o plasma derivati, sia da attribuire una maggiore o minore incidenza di sviluppo di questi inibitori, è tema di discussione nel mondo dell’emofilia.

Recentemente, i risultati di una revisione sistematica della letteratura di Franchini M et al ( Crit Rev Oncol/Hematol 2011 ), condotta secondo criteri di qualità estremamente selettivi, non ha confermato l’ipotesi di un più alto rischio di sviluppo di inibitori legato all'uso del fattore VIII ricombinante rispetto al fattore VIII plasma derivato, dato che era riportato in lavori precedenti.
La conduzione di studi prospettici randomizzati potrebbe fornire evidenze su questo importante tema.

Nelle forme di emofilia A lieve e nella malattia di von Willebrand, la Desmopressina, per via endonasale, può temporaneamente far aumentare i livelli di fattore VIII. La Desmopressina stimola l’organismo a produrre fattore VIII, in presenza però di una certa quantità residua di questo fattore.
La Desmopressina è inefficace nei pazienti con emofilia A grave e nella maggior parte dei pazienti con malattia di von Willebrand di tipo 2N. ( Xagena2011 )

Fonte: a) Merck Manual; b) Avec, 2011


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