Rischio di fibrillazione atriale nei pazienti in terapia con farmaci antipertensivi


Differenti classi di farmaci anti-ipertensivi potrebbero modificare il rischio di fibrillazione atriale.

Alcuni studi hanno indicato che i farmaci che interferiscono con il sistema renina-angiotensina potrebbero avere un effetto favorevole sul rimodellamento atriale.

I Ricercatori dell’ospedale universitario di Basilea, in Svizzera, hanno valutato e confrontato il rischio relativo di fibrillazione atriale incidente in pazienti ipertesi in trattamento con farmaci antipertensivi di diverse classi.

É stato utilizzato per lo studio il database UK GPRD ( United Kingdom-based General Practice Research Database ), che contiene circa 5 milioni di cartelle di pazienti.

In totale sono stati selezionati 4.661 pazienti con fibrillazione atriale e 18.642 controlli da una popolazione di 682.993 pazienti in trattamento per ipertensione.

È stato effettuato un confronto del rischio di fibrillazione atriale tra persone ipertese che utilizzavano Ace inibitori ( inibitori dell’enzima che converte l’angiotensina ), bloccanti il recettore dell’angiotensina II ( sartani ) o beta-bloccanti, con il gruppo di riferimento costituito da utilizzatori di calcioantagonisti.

Sono stati esclusi i pazienti con fattori di rischio clinici per fibrillazione atriale.

Il trattamento corrente a lungo termine con Ace inibitori ( odds ratio [ OR ], 0.75 ), sartani ( OR=0.71 ) o beta-bloccanti ( OR=0.78 ) è risultato associato a un rischio inferiore di fibrillazione atriale rispetto all’uso corrente in monoterapia dei bloccanti i canali del calcio.

Non è stato possibile valutare i cambiamenti di pressione sanguigna nel corso dei trattamenti, e il rischio di presenza di bias non può essere del tutto escluso in uno studio osservazionale.

In conclusione, nei pazienti con ipertensione, il trattamento prolungato con Ace inibitori, sartani o beta-bloccanti riduce il rischio di fibrillazione atriale rispetto ai pazienti trattati con calcioantagonisti. ( Xagena2010 )

Schaer BA et al, Ann Intern Med 2010; 152: 78-84


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