Cancro: identificato un fattore chiave associato alla resistenza alla chemioterapia
Lo sviluppo di resistenza nei confronti della chemioterapia è una conseguenza molto comune per i pazienti oncologici con tumori solidi metastatizzati.
Un gruppo di ricercatori, guidati da Peter S Nelson del Fred Hutchinson Cancer Research Center, hanno scoperto un fattore chiave che guida la resistenza ai farmaci; queste informazioni possono essere utilizzate per migliorare l'efficacia della terapia.
I risultati sono stati pubblicati su Nature Medicine.
Le cellule tumorali all'interno dell’organismo vivono in un microambiente che può influenzare la risposta e la resistenza alla terapia.
I ricercatori hanno scoperto che i fibroblasti, quando sono esposti alla chemioterapia, subiscono dei danni a livello del DNA; questi danni possono a loro volta modificare la produzione di diversi fattori, stimolando la crescita tumorale.
In circostanze normali, i fibroblasti aiutano a mantenere l'integrità strutturale del tessuto connettivo, e svolgono un ruolo chiave nella guarigione delle ferite e nella produzione di collagene.
In particolare, i ricercatori hanno scoperto che il trattamento antitumorale che danneggia il DNA induce i fibroblasti a liberare nel microambiente una proteina denominata WNT16B; i livelli elevati di questa proteina permettono alle cellule tumorali di crescere, invadere i tessuti circostanti e di resistere alla chemioterapia.
E’ stato osservato un aumento, fino a 30 volte, nella produzione di WNT. La famiglia WNT svolge un ruolo importante nello sviluppo cellulare normale, ma anche nello sviluppo di alcuni tumori, ma, fino ad ora, non era noto che avesse un ruolo significativo nella resistenza al trattamento delle cellule cancerose.
Nel caso si riuscisse a bloccare la proteina WNT16B nel microambiente tumorale l'efficacia della chemioterapia potrebbe migliorare.
Rispetto alle nuove terapie antitumorali, che hanno come bersaglio componenti molecolari, la chemioterapia ha un’azione non-specifica, tesa, in molti casi, a danneggiare il DNA delle cellule e di conseguenza ad arrestare la crescita.
La principale ragione clinica alla base del fallimento della chemioterapia nei confronti delle forme avanzate di cancro consiste nel fatto che le elevate dosi necessarie per debellare in modo accurato il tumore potrebbero rivelarsi letali per il paziente.
In laboratorio è possibile distruggere la maggior parte delle cellule tumorali, semplicemente mettendo, in una piastra di Petri, alte dosi di farmaci citotossici. Questo non è possibile farlo nei pazienti perché le alte dosi di sostanze chemioterapiche potrebbero non solo uccidere le cellule tumorali, ma anche le cellule normali. Pertanto, i più comuni trattamenti per i tumori solidi sono somministrati in piccole dosi e a cicli, per permettere un recupero delle cellule normali. Questo approccio non è in grado di eliminare tutte le cellule tumorali, e quelle che sopravvivono possono evolvere per diventare resistenti ai successivi cicli di terapia antitumorale. ( Xagena2012 )
Fonte: Fred Hutchinson Cancer Research Center, 2012
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