Studio COURAGE: nessun beneficio del PCI sulla terapia medica ottimale nei pazienti con malattia coronarica stabile
Lo studio COURAGE ha valutato l’efficacia dell’intervento coronarico percutaneo ( PCI ) rispetto alla terapia medica ottimale tra i pazienti con malattia coronarica stabile.
I pazienti sono stati assegnati in modo casuale alla sola terapia medica ottimale ( n = 1138 ) oppure all’intervento coronarico percutaneo in aggiunta alla terapia medica ottimale ( n = 1149 ).
Tutti i pazienti hanno anche ricevuto una terapia ipolipemizzante aggressiva con un target di colesterolo LDL di 60-85 mg/ml.
La terapia antischemica comprendeva Metoprololo long-acting ( Seloken ), Amlodipina ( Norvasc ) ed Isosorbide mononitrato ( Monoket ) da solo o in combinazione a Lisinopril ( Zestril ) o Losartan ( Lortaan / Cozaar ) come prevenzione secondaria.
Il 95% dei pazienti presentava evidenza obiettiva di ischemia miocardica.
La malattia multivasale era presente nel 69% dei pazienti ( 31% malattia vascolare singola ).
Un terzo dei pazienti aveva malattia prossimale dell’arteria discendente anteriore sinistra.
L’angina di classe CSS II o III era presente nel 8% dei pazienti al momento dell’ingresso nello studio.
L’intervento coronarico percutaneo è stato eseguito nel 94% dei pazienti nella coorte PCI, con una percentuale di successo del 93%.
Per 5 anni, il 64% dei pazienti ha assunto gli Ace-inibitori, il 93% le statine, il 95% Acido Acetilsalicilico e l’85% i beta-bloccanti.
I livelli di colesterolo LDL si sono ridotti ad un valore medio di 71 mg/dl.
Non sono state osservate differenze nell’end point primario di morte o di infarto miocardico tra il gruppo sottoposto ad intervento PCI ed il gruppo trattato con terapia medica ( 19% per PCI e 18.5% per terapia medica; hazard ratio, HR = 1.05; p = 0.62 ).
Non è stata riscontrata alcuna differenza tra il gruppo sottoposto a PCI e la terapia medica nell’end point composito secondario di morte, infarto miocardico o ictus ( 20% per PCI versus 19.5% per terapia medica, HR = 1.05; p = 0.62 ) o nell’end point secondario di ospedalizzazione per sindrome coronarica acuta ( 12.4% per PCI versus 11.8% per terapia medica, HR = 1.07; p = 0.56 ).
I componenti degli end point ( morte, infarto miocardico non fatale, ictus ) non differivano tra i gruppi.
L’angina è stata ridotta in modo significativo in entrambi i gruppi durante il periodo di follow-up, con nessuna differenza nella riduzione tra PCI e terapia medica a 5 anni ( pazienti liberi da angina: 74% gruppo PCI e 72% gruppo terapia medica ).
Lo studio ha mostrato che tra i pazienti con coronaropatia stabile, l’intervento coronarico percutaneo non è associato ad una differenza nella mortalità o nell’infarto miocardico rispetto alla terapia medica nel corso dei 5 anni. ( Xagena2007 )
Fonte: American College of Cardiology Meeting, 2007
Cardio2007
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